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L' abete è legato al mito narrato da Ovidio nelle Metamorfosi, di Cenide, una ninfa amata da Poseidone, a cui chiese di trasformarla in uomo. Prese il nome di Cineo, divenne un imbattibile guerriero e fu proclamato re dei Lapiti. Diventò così superbo da piantare nel centro della piazza la sua lancia realizzata con legno di abete e chiese ai sudditi di dedicarle dei sacrifici. Zeus, per punirlo, spinse i Centauri ad ucciderlo, Percuotendolo con tronchi di abete e conficcandolo al suolo come se fosse un albero. Da allora presso molte popolazioni in primavera si verifica un rituale, durante il quale un palo di abete viene conficcato al centro della piazza del mercato.

 

L'aglio nell'antico Egitto gli adoratori di Sokar (divinità degli inferi) si adornavano con ghirlande di aglio. Nell'antica Grecia era considerata una pianta degli inferi e dedicata ad Ecate la dea che accompagnava nel regno dei morti.

I taoisti sostengono che è una pianta che nutre i demoni e non lo mangiano e chi si avvicina allo Yoga deve evitare l'aglio.

L'uomo ha da sempre attribuito all'aglio un potere contro streghe, vampiri, ecc. si ritiene per le sue proprietà antibatteriche in quanto questi spiriti erano considerati dei parassiti. Nelle tradizioni popolari l'aglio è considerato un talismano collegato al solstizio d'estate e si consigliava di portarlo addosso nella notte che precede il 24 giugno (San Giovanni) per proteggersi dalle streghe che in quella data si recano per celebrare il grande sabba annuale nella  "notte delle streghe".

 

 I Druidi usavano l' Agrifoglio per cacciare gli spiriti maligni; Plinio il Vecchio, nel primo secolo A.C., consigliava di piantarlo vicino alla porta di casa, per proteggerla dalla perfidia dei malvagi. In molti paesi del Nord, nel Medioevo, si pensava che questa pianta fosse dotata di un potere superiore a quello degli aggressori e la capacità di proteggere dalle intemperie nelle lunghe notti buie in inverno, per questo è usato per addobbare la casa durante il periodo natalizio.

 

La pianta di alloro nell'antica Grecia era considerata una pianta sacra ad Apollo perché Eros, che era stato deriso da Apollo, per punirlo, lo aveva colpito con una freccia (d’oro) destinata a far nascere la passione, quindi colpì il cuore della ninfa Dafne (ma lei cosa c’entrava?) con una (spuntata e di piombo) destinata a respingere l'amore. Madre Terra, impietosita dalle richieste di aiuto della figlia che scappava terrorizzata dal dio che la inseguiva, la trasformò in questa pianta sotto gli occhi di Apollo che, disperato, abbracciava invano il tronco nella speranza di riuscire a ritrovare la dolce Dafne. Così lo stesso Apollo, proclamò questa pianta sacra al suo culto e segno di gloria da portarsi sul capo dei vincitori e il termine “laurea” deriva proprio da Laurus nobilis, simbolo della sapienza divina. Tale corona, è rimasta nelle epoche successive come iconografia nella rappresentazione pittorica di poeti ed imperatori (classiche sono le figure di Dante e di Napoleone col capo ornato da una corona d'alloro).

Gli antichi romani la coltivavano ritenendola la pianta nobile per eccellenza I contadini solevano legare tre ramoscelli d’alloro con un cordoncino rosso: questo propiziava l’abbondanza del raccolto, aiutava il grano a maturare e donava benessere.

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Nella mitologia greca, Anemone era la ninfa sposa di Zefiro, la divinità che rappresentava il vento dell’ovest e che con il suo caldo soffio produceva fiori e frutti. Anemone viveva nella corta della dea Chloride, della quale suo marito Zefiro era amante, ma nonostante ciò, Zefiro era solito indirizzare un soffio intensamente più caldo verso l’amata moglie, suscitando la gelosia di Chloride che voleva per se tutte le attenzioni di Zefiro. Chloride accecata dalla gelosia scacciò Anemone e Zefiro per proteggerla la trasformò nel fiore che ora porta il suo nome, un fiore che non schiude mai la corolla se non viene baciata dal caldo vento di Zefiro. Anemone infatti significa “fiore del vento”.

Una leggenda cristiana invece racconta che il fiore sia nato al tempo della crocifissione di Gesù, ai piedi della sua croce, ricevendo il colore rosso dal sangue uscito dalle sue ferite, da cui il nome di “le gocce di sangue del Cristo”.

 

L'azalea (e il rododendro) genere Rhododendron, FamigliaEricaceae, significano "felicità misteriosa". Se però è di colore rosso vuol significare vendetta. Se ad una persona viene donata un'azalea di colore giallo le si sta dicendo che è falsa, che sta simulando.

 

Al basilico, in Occidente, si è attribuita la proprietà di favorire il concepimento. I suoi rami fioriti messi dentro un vaso in una stanza porterebbero l'armonia e la pace famigliare.

Può avere anche un significato più nefasto: Nell'isola di Creta è simbolo di lutto. Boccaccio nel Decameron racconta La storia della giovane Lisabetta staccò la testa dell’amato ucciso dai fratelli e di nascosto la portò in casa e la mise in un vaso di basilico che annaffiava con le sue lacrime e così cresceva rigogliosa.

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La Bella di notte (Mirabilis jalapa) simboleggia la timidezza per la sua caratteristica di fiore notturno che si nasconde durante le ore diurne dallo sguardo dei passanti.

 

La borragine significa contentezza, serenità, allegria e forza. Plinio sosteneva che era il Nepente che Omero cita nel libro IV dell'Odissea e che mescolata al vino dava allegria e oblio. Anche gli antichi Celti erano soliti bere il vino con la borragine perchè dicevano che desse coraggio prima della battaglia.

 

Secondo un'antica leggenda greca, dal seno della dea Era, la divinità del matrimonio, fuoriuscirono alcune gocce di latte; alcune caddero sulla terra e da esse nacque la prima calla; altre furono spruzzate verso l'alto; finirono in cielo, dove formarono la Via Lattea.

Secondo un'altra leggenda, di origine biblica, la prima calla è nata dalle lacrime versate da Eva dopo la cacciata dal giardino dell’Eden. Infine, secondo un'antica leggenda romana, una dea romana lanciò una maledizione a questo fiore per la sua straordinaria bellezza e decise di imbruttirlo inserendo al centro del fiore uno spadice. Da qui il significato erotico e fallico della calla.

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La camelia nel linguaggio dei fiori e delle piante simboleggia la stima, l’ammirazione e la bellezza perfetta non esibita, il motivo di tale significato è dovuto alla consistenza del fiore che non perde i petali, quindi, porta alla mente delle persone solide che sanno affrontare la vita e i sacrifici in particolare in nome dell’amore.

Come accade spesso anche per altri fiori, il suo significato può cambiare a seconda del colore, quindi nello specifico la camelia di colore bianco è quella che simboleggia i sentimenti di stima, gratitudine e ammirazione, la camelia rosa simboleggia il desiderio di avere la persona a cui la si regala più vicina e la camelia rossa simboleggia l’amore e la speranza.

In Cina è diffusa la credenza popolare secondo la quale le donne non dovrebbero mai indossare una camelia tra i capelli: fiorendo molto tempo dopo che la gemma si è formata, equivarrebbe a dover aspettare a lungo di rimanere in stato di gravidanza.

sulla nascita delle camelie esistono diverse leggende, tutte originarie dei paesi orientali. In un antico libro giapponese si narra che il dio del vento, delle piogge e degli uragani, Susanowo, era costretto a vivere nel regno dominato da un malvagio serpente a otto teste. Ogni anno il serpente pretendeva il sacrificio della più bella fanciulla del regno ma un giorno Susanowo, decise di liberare il paese dal mostro e si recò nel regno dell’oltretomba dove creò una spada all’interno della quale imprigionò un raggio di sole.

Quando tornò sulla terrà nel suo paese, andò con la sua spada nei pressi dell’ingresso della grotta del mostro per attenderlo con calma mentre un lungo corteo accompagnava la principessa a sacrificarsi per il suo popolo. All’alba il serpente apparve dalla profondità della sua grotta, Susanowo, dopo diverse ore di combattimento ebbe le meglio sul serpente, si avvicinò alla principessa e chiedendola in sposa appoggiò la spada insanguinata sull’erba che iniziò a tingersi di rosso. Da quella macchia apparve un arbusto dalle foglie lucidissime e dai fiori bianchi con alcuna macchioline rosse. I fiori vennero chiamati tsubaki ovvero rose del Giappone e la loro caratteristica era di non perdere i petali ma di cadere interi dalla pianta.

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La camomilla indica la calma e la pazienza; è una delle erbe officinali più conosciute, considerata fin dall’antichità per le sue potenti qualità terapeutiche. Nella mitologia egiziana, il fiore della camomilla era dedicato a Ra, gran dio del sole, ed era venerata per le sue grandi capacità medicamentose e cosmetiche, ma soprattutto perchè capace di sanare la febbre della malaria. Nel Papiro di Ebers (ca. 1550 a.C.) vi è una vasta documentazione sull’uso della camomilla da parte degli egizi. Nella tomba di Ramset II sono state trovate tracce di polline di camomilla probabilmente messe li per dare al faraone la forza e la calma per affrontare il viaggio verso l'altra vita.

Gli antichi Greci la consideravano una panacea, e pare che fu per la sua inconfondibile fragranza simile al profumo rilasciato delle mele mature, che alla pianta venne poi assegnato il nome camomilla, poichè nell’etimologia greca la parola “khamaìmelon” significa mela di terra o piccola mela, da cui la derivazione latina “chamomilla”. Secondo i medici greci Ippocatre e Dioscoride, la camomilla serviva a lenire i dolori del parto e a regolare il ciclo mestruale. 

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Le canne sono legate al dio Pan che pare fosse figlio di Zeus e di Callisto o di Ermes e della ninfa Driope (o Penelope) che, comunque, subito dopo averlo messo al mondo, lo abbandonarono tanto era a sua bruttezza. Pan era più simile a un animale che a un uomo in quanto il corpo era coperto da ispido pelo; dalla bocca spuntavano delle zanne ingiallite; il mento era ricoperto da una folta barba; in fronte aveva due corna e al posto dei piedi aveva due zoccoli caprini.

Ermes, impietosi da questo bambino decise di portarlo nell'Olimpo dove, nonostante il suo aspetto, fu accolto con benevolenza. infatti aveva un carattere gioviale e cortese e tutti gli dei si rallegravano alla sua presenza, in particolare divenne uno dei  compagni prediletti di Dionisio e insieme facevano scorribande attraverso i boschi rallegrandosi della reciproca compagnia.

Pan era fondamentalmente un dio silvestre che amava la natura, amava ridere e giocare. Amò e sedusse molte donne tra le quali la ninfa Eco e Piti, la dea Artemide e Siringa, figlia della divinità fluviale Ladone, della quale si innamorò perdutamente. La fanciulla quando lo vide fuggì inorridita, terrorizzata dal suo aspetto caprino. Corse e corse Siringa inseguita da Pan e resasi conto che non poteva sfuggirgli iniziò a pregare il proprio padre perchè le mutasse l'aspetto in modo che Pan non potesse riconoscerla. Ladone, straziato dalle preghiere della figlia, la trasformò in una canna nei pressi di una grande palude.

Pan, invano cercò di afferrarla ma la trasformazione avvenne sotto i suoi occhi. Afflitto, abbracciò le canne ma più nulla poteva fare per Siringa. A quel punto recise la canna, la tagliò in tanti pezzetti di lunghezza diversa e li legò assieme. Fabbricò così uno strumento musicale al quale diede il nome di "siringa" (che ai posteri è anche noto come il "flauto di pan") per averla sempre vicino.

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Il capelvenere, che è una felce, ha rappresentato il simbolo della modestia e della discrezione ma anche del segreto.

 

Il cardo mariano è stata da sempre considerata una pianta solare quindi con significato positivo. Permette di capire se una persona ci ama ma non ha il coraggio di dirlo: bisogna raccogliere un cardo mariano in piena fioritura in occasione della Festa di San Giovanni e dopo averlo bruciacchiato, bisogna esporlo durante la notte della vigilia dentro un bicchiere d'acqua: se il colore del cardo si ravviva, vuol dire che l'amore esiste. 

Apuleio nel suo "De virtutibus herbarium" scrisse: "Quando la luna sarà in capricorno col sole nuovo prendi l'erba detta Cardum sylvaticum e fino a quando la porterai con te non ti capiterà nulla di male". 

 

Il ciclamino ha significati positivi e negativi. Plinio il vecchio lo considerava un amuleto sosteneva che se una persona lo piantava, non potevano più nuocergli i filtri malefici fatti contro di lei. Un altro significato è che agisca su tutta la personalità e crei intorno ad essa un vero e proprio centro di gravitazione, accrescendo quindi il proprio prestigio personale. I significati negativi sono dovuto al fatto che i suoi tuberi sono velenosi per l'uomo ma non per i maiali che al contrario ne sono ghiotti e ai quali non arreca alcun danno, è considerato simbolo della diffidenza.

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Il simbolismo delle cipolle non è positivo Nell'esegesi biblica identificava il dolore prodotto dal peccato (irritante per gli occhi) e la falsità e doppiezza essendo una pianta formata da diversi strati sovrapposti. Gli egizi la tenevano in grande considerazione, rappresentandola nei geroglifici e nelle tombe dei faraoni, col significato divino di lasciapassare per l'oltretomba. I greci la associavano al dio Ares, somministrandola alle truppe per accrescerne il valore nei combattimenti.

Nel Medioevo era diventata il cibo dei poveri, "pane e cipolla" era diventata un simbolo di povertà e miseria.

 

Il cipresso ha avuto fin dall'antichità un significato sacro, legato ai riti funebri ed alla morte. Il nome, infatti, deriva dalla triste leggenda del giovane Ciparisso, che per sbaglio uccise un cerbiatto che aveva allevato amorosamente. Per il dolore si tolse la vita e Apollo, commosso per la triste fine di Ciparisso, lo trasformò nell'albero che oggi tutti conosciamo, diventato da allora il simbolo del lutto e dell’accesso all’eternità.

I greci non mancavano mai di piantare un cipresso in prossimità dei templi e lo sradicamento di questa pianta era considerato un atto di profanazione al dio al quale il tempio era dedicato.

Nella tradizione cristiana è diventato simbolo dell’immortalità, come emblema della vita eterna dopo la morte, infatti lo si trova nei cimiteri. Per la sua verticalità assoluta, l’erigersi verso l’alto, il cipresso indica l’anima che si avvia verso il regno celeste.

I celti avevano un segno zodiacale dedicato al cipresso, considerato simbolo di longevità: si pensava che i nati sotto questo segno potessero invecchiare più lentamente e senza sofferenze.

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Una leggenda dei fratelli Grimm narra di un carro che trasportava un pesante carico di vino e che si era impantanato; e il carrettiere, poveretto, pur sforzandosi al massimo, non riusciva a liberarlo. Proprio in quel momento passava la Madonna che, assetata, approfittò di quella sosta forzata per chiedere ristoro alla sua sete. “In cambio”, disse, “ti libererò il carro”.

“Volentieri” rispose il carrettiere “ma non ho un bicchiere”. Allora la Madonna colse, da una pianta di Convolvolo un fiorellino bianco striato di rosso che somigliava a una tazzina, e glielo porse. Egli lo riempì di vino che la Madonna bevve, e subito dopo il carro fu libero dal fango. Da quel momento il fiorellino si è chiamato “Tazzetta della Madonna”.

 

I fiori bianchi del corbezzolo rappresentano l'ospitalità. E’usato come esclamazione di meraviglia e stupore.

 

L'edera era uno dei simboli di Dionisio leggende racconta che l'edera comparve subito dopo la nascita del dio per proteggerlo dal fuoco che bruciava il corpo della madre in seguito ad un fulmine lanciato da Zeus. l'altra pianta sacra al dio Dioniso è la vite, da questo probabilmente è derivata l'usanza di appendere o rappresentare le osterie con un tralcio di edera a rappresentare l'innocenza e  la non dannosità del vino. L'edera rappresenta anche la passione che spinge gli amati ad avvolgersi l'uno all'altra come fa l'edera sui tronchi degli alberi. nei paesi dell'Europa centrale e meridionale, si usa nel periodo natalizio assieme all'agrifoglio per adornare l'uscio delle case ed i camini per tenere lontani i folletti che durante tale periodo amavano fare scherzi.

L'edera non è in grado di sostenersi da sola e la sua vita dipende dagli alberi ai quali si aggrappa ed ai muri sui quali si arrampica, ma una volta che si attacca nulla riuscirà a strapparla via da qui il suo significato di fedeltà, amore ed amicizia costanti. Regalarne una piantina significa attaccamento verso la persona alla quale viene offerta.

 

Il nome Cyanus segetum per il Fiordaliso, fu proposto dal botanico inglese John Hill (1716-1775). Linneo usò il binomio Centaurea cyanus, riferendosi a due episodi della mitologia: Il nome Centaurea, deriva da Chirone, un centauro che era molto famoso per il suo animo nobile e saggio, nonchè per il suo talento nel tiro dell’arco, nella medicina, nella musica e nella profezia, divenendo per queste sue doti il maestro di Achille, di Esculapio e di Ettore. Ferito accidentalmente ad un piede da una freccia avvelenata tirata da Ercole, Chirone potè salvarsi solo medicandosi con la pianta del fiordaliso, le cui proprietà furono scoperte da lui proprio in quell’occasione. Il secondo narra della dea Flora, innamorata di un giovanotto di nome Ciano (Cyanus), che quando lo ritrovò morto disteso in un campo di fiordalisi diede a quei fiori il nome del suo amato.

Nelle antiche leggende religiose russe, il fiordaliso è il fiore di Basilio, un bel giovane che fu sedotto in un campo di grano da una bella ninfa che poi lo trasformò proprio in un fiordaliso.

Si narra che Guglielmo I, re di Prussia, primo imperatore della Germania moderna (22 marzo 1797 9 marzo 1888), in fuga da una battaglia contro Napoleone, vide la madre in un campo di grano intenta a intrecciare dei fiori di fiordaliso in mazzetti allo scopo di rasserenare i bambini che si trovavano con lei: per questo motivo, una volta ritornato sul trono, nello stemma araldico collocò il fiordaliso.

Il nome comune deriva dal francese “fleur de lis”, ovvero “fiore di giglio”.

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La gardenia dura fiorita solo pochi giorni, ha ispirato il simbolo della fugacità della bellezza. Negli anni venti veniva associata la figura del "viveur, uomo mondano dedito ai piaceri e al divertimento" che la portava sempre all'occhiello, resa immortale da Domenico Modugno con la canzone "Vecchio frac":

(...) Ha un cilindro per cappello,

due diamanti per gemelli,

un bastone di cristallo,

la gardenia nell'occhiello e sul candido gilet,

un papillon, un papillon

di seta blu (...)

 

Il gelsomino è una pianta conosciuta fin dai tempi più antichi soprattutto nei paesi asiatici e per la tradizione araba  è una pianta che simboleggia l'Amore divino. La specie più conosciuta in occidente è lo Jasminum officinale che è caratterizzata da un fiore a cinque petali. Questo aspetto è molto importante perchè sia nella tradizione occidentale che in quella orientale il numero cinque rappresenta Grande Madre che ha assunto i nomi di Afrodite per i greci, Ishtar per i babilonesi,  tanto che in Asia minore si portava al collo come amuleto un pentacolo perchè si pensava che Grande Madre in questo modo proteggesse dagli spiriti cattivi. Assume significato diverso a seconda del colore: un gelsomino bianco sta a significare amabilità; uno giallo felicità;  uno rosso  significa invece che si desidera la persona alla quale si dona.

Il geranio ha diversi significati: il geranio rosso fiamma vuol dire "ti preferisco" il geranio rosso cupo significa malinconia; il geranio rosa esprime preferenza per una persona; il geranio edera sta a significare propensione per i rapporti stabili; il geranio di Boemia indica valore; il Pelargonium triste rappresenta la tristezza.

 

Giacinto era un bellissimo giovane, figlio di Diomede, che amava molto Apollo. Zefiro, invidioso della sua preferenza per il dio, mentre i due gareggiavano nel lancio del disco, deviò la traiettoria del disco, che colpì il giovane, uccidendolo. Dal suo sangue sgorgò il fiore del giacinto.

 

Il giglio è considerato simbolo di fecondità, purezza, candore, innocenza e verginità. Per queste sue caratteristiche l'iconografia cristiana ha sempre associato questo fiore, tipicamente bianco, alla figura della Vergine Maria. San Giuseppe viene spesso rappresentato con un bastone dal quale germogliano gigli bianchi.

Gli antichi Greci lo chiamavano il 'fiore dei fiori', per la sua fragranza inebriante, i colori magnetici e le geometrie perfette. Essi pensavano si fosse originato da una goccia di latte caduta dal seno di Giunone mentre allattava il piccolo Eracle.

Venere, gelosa del candore di questo fiore, fece cadere nel suo calice lunghi stami gialli, il cui polline macchia le dita di chi lo coglie.

Il giglio è anche considerato segno di nobiltà d’animo e fierezza, per cui è un segno araldico diffusissimo, presente negli stemmi di tantissime casate nobiliari.

La città di Firenze ha ancora come simbolo un giglio stilizzato, anche se molto probabilmente la pianta rappresentata è un iris, molto diffusa nelle colline circostanti alla città medicea.

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Il ginepro era considerato in grado di proteggere sia dalle malattie che dagli spiriti maligni questo grazie ai suoi rami spinosi. In molti paesi c'era l'abitudine di piantare il ginepro vicino alla casa.

Nel pistoiese c'era l'abitudine di appendere sulla porta di casa un ramo di ginepro perchè si credeva che le streghe, alla sua vista, non potevano resistere dal contare i suoi aghi, ma siccome erano tanti, perdevano il conto e così spazientite se ne andavano.

Questa pianta ha ispirato tante leggende ed è stato attribuito al ginepro il privilegio di aver protetto la fuga della Sacra Famiglia inseguita dai soldati di Erode e Maria riconoscente l'avrebbe benedetta predicendogli che avrebbe avuto l'onore di fornire il legno per croce di Cristo.

 

Il Girasole (Helianthus annuus) Helianthus deriva da due parole greche ”helios” (sole) e ”anthos” (fiore) famiglia delle Asteraceae È un fiore che ha origini antiche: nell’America settentrionale sono stati trovati resti di questo fiore che risalgono a tremila anni prima di Cristo. Gli Incas consideravano il girasole l'immagine del loro dio del sole. Gli Indiani d’America lo consideravano una pianta sacra in quanto consentiva all’uomo di farne molteplici usi.

Ovidio nelle Metamorfosi, narra che Venere per vendicarsi di Apollo che l’aveva scoperta con Marte, lo fa innamorare di una mortale, Leucotoe figlia del re di Babilonia Òrcamo e di Eurinome. Apollo, per riuscire ad averla, si trasformò nella madre di lei e, entrato nella stanza dove stava tessendo con le ancelle e riuscì a rimanere solo con la fanciulla e a sedurla. Clizia, una delle ninfe oceanine, innamorata di Apollo, per vendicarsi, rivelò il segreto al padre della giovane, che la punì seppellendola viva. Apollo, nel tentativo di riportarla in vita, fece nascere una pianta d’incenso sul luogo della sua sepoltura.

Apollo, però, perduta l’amata Leucòtoe, non volle più vedere Clizia, la quale, perciò, cominciò a deperire, rifiutando di nutrirsi e bevendo solamente la brina e le sue lacrime. La ninfa trascorse il resto dei suoi giorni seduta a terra ad osservare il dio che conduceva il carro del Sole in cielo senza rivolgerle neppure uno sguardo, finché, consumata dall’amore, si trasformò in un fiore, che cambia inclinazione durante il giorno secondo lo spostamento dell’astro nel cielo, e perciò è detto girasole.

Il girasole fu apprezzato dal Re Luigi XIV, il Re Sole e durante l’età vittoriana, in Gran Bretagna, venne disegnato su stoffe, inciso nel legno, forgiato nei metalli; Oscar Wilde volle il girasole come simbolo del movimento estetico che lui stesso aveva fondato. In Italia, poeti come Eugenio Montale e Gabriele D’Annunzio hanno elogiato il girasole nei propri versi. Nelle opere di Van Gogh la presenza del fiore è ricorrente.

Nella prima metà dell'800, in Russia fu messo a punto un metodo per l'estrazione alimentare dell'olio.

 

Iberis sempervirens Per la sua capacità di fiorire anche nei mesi freddi, è considerato un simbolo di coraggio e vigore morale.

 

l'ibisco per la bellezza del suo fiore sorretto da degli steli molto esili e per la sua breve durata è stato da sempre considerato il simbolo della bellezza fugace. Nell’ottocento donare un fiore di Ibisco alla persona amata significava dire "tu sei bella" però  se si donava un ibisco a fiore bianco doppio le si diceva "tu sei leale" mentre se si donava un Ibisco rosso sangue voleva dire "mi hai ferito nel più profondo del cuore.

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I popoli antichi si avvicinavano alla lavanda con grande cautela perché si riteneva che all'interno dei suoi cespugli vi facessero il nido i serpenti, soprattutto gli aspidi. Da questa credenza è derivato il suo significato nel linguaggio dei fiori: "diffidenza". Ha anche due significati distinti e contradditori tra loro. Il primo si rifà ad un'antica tradizione secondo cui veniva usata nell'antichità contro i morsi dei serpenti e raccomandavano di strofinarla sulle ferite dopo averla lasciata macerare in acqua. Era quindi considerata un antidoto.

Il secondo significato della Lavanda è legato invece a sentimenti più miti e regalare della lavanda vorrebbe dire "il tuo ricordo è la mia unica felicità".

É anche considerata simbolo della purezza, della virtù e della serenità, capace di attrarre verso il corpo energie positive.

In Egitto era uno dei componenti di un unguento che si scioglieva lentamente con il calore del corpo e lo profumava. Allo stesso modo era incorporata nell'olio delle lucerne per profumare i luoghi di culto.

Un’antica favola persiana invece racconta un’altra orgine della lavanda: il re di Persia, aveva promesso in sposa ad un potente sultano la sua bellissima figlia, in precedenza affidata ad un giovane e colto tutore dagli occhi azzurri del quale si innamorò perdutamente, ricambiata. Un amore quello tra l’insegnante e la principessa destinato all’infelicità per motivi di Stato e differenza sociale. Ahura-Mazda, il dio egizio della Luce, ebbe compassione di questi due giovani amanti, e così una notte li accolse in cielo fra le sue stelle, lasciando al loro posto sulla terra una piantina di lavanda.

Gli antichi greci la usavano nei riti di purificazione per allontanare ogni tipo di negatività e per favorire la felicità, l'amore e il raggiungimento della pace interiore.

Nella mitologia greca la lavanda, detta anche spighetta di San Giovanni, era dedicata a Ecate, dea lunare assai misteriosa e protettrice delle maghe e degli indovini. Nella notte del solstizio estivo, le streghe che praticavano la magia bianca, quella buona, erano solite offrire un mazzetto di fiori di lavanda come buon auspicio. I superstiziosi invece, nella stessa notte, mettevano le spighette sulle soglie delle porte e delle finestre per allontanare le fattucchiere dalle cattive intenzioni e per proteggersi dalle loro maledizioni.

 

Un'antichissima leggenda narra che il popolo delle Fate amasse stare tra i fiori di lillà e solevano piantare un Lillà Dove credevano fosse annidato il male, per far in modo da purificare il luogo.

Nel linguaggio dei fiori il significato dei Lillà varia a seconda del colore.

Lillà Bianco: innocenza, purezza e verginità

Lillà Giallo: esprime l’essere fra le nuvole.

Lillà Tigre: orgoglio.

Lillà della Valle: tenerezza e umiltà.

Lillà Viola: innamoramento e palpiti d’amore, ma in alcuni luoghi del mondo, tuttavia, significa rottura del fidanzamento.

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La maggiorana ha ispirato il simbolo della bontà e nell'ottocento si aggiunse anche quello dei piaceri campestri. Le radici sono molto superficiali e quindi è una pianta che può essere divelta con estrema facilità, quindi ha anche evocato il simbolo dell'uomo contemplativo che, pur essendo radicato nella terra giusto il tanto necessario è fondamentalmente rivolto verso il cielo, verso le cose spirituali.

 

La malva, considerando le sue virtù e le proprietà medicinali, nel linguaggio ottocentesco dei fiori ha simboleggiato l'amore materno e la calma, ma nel passato, aveva tutt'altro significato. Plinio tramanda che era considerata la pianta del desiderio sessuale. Era infatti considerata un potente afrodisiaco, sia per l'uomo che per la donna: bastava legarsi tre radici vicino ai genitali, per aumentare il desiderio sessuale.

 

Il mandorlo fu considerato fin dall'antichità simbolo di buon auspicio e fertilità, di nascita e resurrezione: essendo il primo albero a sbocciare in primavera incarna il rinnovarsi della natura, dopo la sua morte invernale.

Anche la mandorla come frutto è simbolo divino fin dall'antichità perchè rappresenta l'essenziale che si cela sotto le apparenze: rompere il guscio della mandorla e arrivare al frutto è un operazione difficile, e simboleggia la fine di un cammino di conoscenza.

Nella Bibbia è citato più volte, e simboleggia la promessa di salvezza di Dio al suo popolo: il bastone di Aronne, il prescelto per diventare sacerdote, fiorisce e ha come frutto una mandorla. Nella tradizione cristiana, in seguito, sarà accostato alla verginità feconda di Maria.

In araldica è assunto come simbolo di gioventù e grande ardire.

 

La margherita si dice abbia facoltà profetiche. Gli innamorati la sfogliano per sapere se il loro amore è ricambiato. Nel Medioevo, le donne riconoscevano pubblicamente di essere amate e di riamare quando concedevano al loro cavaliere il permesso di ornare il proprio scudo con due margherite. Quando una donna non era sicura dell’affetto dell’amato si ornava la fronte con margherite. È il simbolo dell’innocenza, della semplicità, freschezza e purezza.

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Sono poche le piante che più del melo sono legate a miti e simbolismi, la cui universalità testimonia la diffusione e l'importanza di questo albero presso i popoli antichi.

La mela è il frutto per eccellenza. Con la sua forma sferica ha suggerito all’uomo la totalità del cielo e della terra: una specie di simbolo del potere massimo terrestre e divino insieme.

Nella mitologia scandinava la mela è il cibo degli dei. Nella tradizione ebraico-cristiana il suo frutto è il "frutto proibito", simbolo della conoscenza e poi, dopo essere stato colto dall'albero della conoscenza, della caduta dell'uomo.

La mitologia greca racconta come Gea, la grande madre terra, diede un frutto di mela ad Era, sposa di Zeus, come dono nuziale auspicio di fecondità. Zeus ne possedeva addirittura un proprio albero personale ed Ercole, sottoponendosi alle "fatiche", fu costretto a sottrarre le mele d’oro proprio da quella pianta presidiata dalle Esperidi.

Una mela donata da Paride ad Afrodite (che promise al giovane la bella Elena, moglie di Menelao, come sposa) fu il "pomo della discordia" che scatenò la guerra di Troia.

 

Dai tempi più antichi il frutto del melograno, ricco di semi di un accattivante colore rosso, è considerato simbolo di fertilità ed espressione dell'esuberanza della vita.

Nell'antica Grecia la pianta era consacrata ad Era, moglie di Zeus, e ad Afrodite, dea dell'amore. Diversi miti vedono protagonista il melograno. Sarebbe proprio questa pianta il dono di Afrodite all’isola natale di Cipro e da qui deriverebbe la tradizione, valida per diverse culture, che vede in questo frutto un simbolo di fecondità e buon auspicio.

Al melograno è legato anche il mito di Persefone (Proserpina nella tradizione latina), la giovane figlia di Demetra e Zeus rapita da Ade, dio degli inferi, per farne la sua sposa. Giunta nell’oltretomba le viene offerto del melograno con l’inganno, senza avvertirla che mangiarne anche solo qualche chicco avrebbe significato non poter più fare ritorno dal regno dei morti. Venuta a conoscenza della sorte della figlia la reazione disperata di Demetra, dea della fertilità e del raccolto, non si fa attendere: per gli uomini inizia un arido inverno di grave carestia. L’intervento di Zeus consente di raggiungere un compromesso: Persefone dovrà restare nel regno di Ade per sei mesi ogni anno, ma potrà lasciarlo per gli altri sei. Da allora l’arrivo della primavera racconta la gioia di Demetra nel riabbracciare Persefone.

Le spose romane solevano intrecciare tra i capelli rami di melograno, come simbolo di ricchezza e di fertilità.

Molti pittori della tradizione cristiana raffiguravano Gesù bambino con una melagrana in mano, per alludere al dono della nuova vita fatto da Cristo. Anche per la chiesa copta il frutto del melograno è simbolo di resurrezione. I suoi valori di fecondità e di fertilità si ritrovano anche nell'Islam ed in tantissime leggende e tradizioni delle culture mediterranee e mediorientali.

In India si credeva che il frutto del melagrano combattesse la sterilità, mentre in Turchia le spose usavano lanciare con forza in terra una melagrana credendo di avere tanti figli quanti erano i chicchi usciti dal frutto spaccato. In Dalmazia la leggenda impone al novello sposo di trasferire una piantina di melograno dal giardino del suocero al proprio.

 

La menta, in considerazione del fatto che è una pianta molto rustica, non particolarmente esigente, rappresenta la sobrietà e la temperanza e grazie al suo profumo e alle proprietà terapeutiche anche saggezza. Essendo una pianta che ricresce e fiorisce anche nelle condizioni più avverse, viene considerata rappresentativa di tutte le virtù che, se vere, non muoiono mai. Indica l'amore perfetto che rimane saldo anche di fronte alle avversità.

secondo la mitologia greca Menta o Mintha era una ninfa amata da Ade, dio degli inferi. Persefone, moglie di Ade per gelosia la trasformò in un'erba, ma la stessa Persefone le diede l'aroma che le è tipico per ricompensare la ninfa della trasformazione alle quale l'aveva assoggettata.

Anche nell'Antico testamento viene citata come essenza utilizzata per profumare le mense ed elevare lo spirito.

I cinesi la utilizzavano per le sue proprietà calmanti e antispasmodiche. Ippocrate la considerava afrodisiaca mentre Plinio ne vantava le proprietà analgesiche.

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Secondo la leggenda, la menta prende il nome dalla ninfa Myntha, amata da Plutone, che venne trasformata in pianta da Proserpina per sfuggire alle attenzioni del dio. Molto conosciuta già dal tempo degli egizi e dei Romani, veniva usata come pianta medicinale.

Nell'antica Grecia era simbolo dell'amore ed era dedicata ad Afrodite, di conseguenza era anche considerata afrodisiaca e la si assumeva prima di un incontro amoroso. Era anche dedicata al dio della guerra Ares e se ne bruciavano mazzetti sulle pire funebri dei soldati caduti in battaglia.

I romani la consideravano rilassante e sedativa, tanto che, secondo Seneca, i soldati non dovevano mangiarla perchè gli avrebbe tolto vigore e forze.

 

Gli antichi greci avevano associato il mirto all'universo femminile, rendendo la pianta sacra alla dea Afrodite, Ovidio narra che la dea nacque nuda dalle acque di Citara (Ischia) e per coprirsi usò le piante di mirto.

I greci il mirto era legato a Myrsìne, giovane fanciulla dell’Attica (regione storica della Grecia), che dopo aver battuto un suo coetaneo in una gara ginnica, fu uccisa dallo stesso rivale, il quale non accettò la sconfitta. La giovane fu trasformata dalla dea Atena in un arbusto di mirto.

É stato sempre considerato simbolo di fecondità, tanto che veniva usato nei banchetti di nozze come augurio di vita serena e felice.

Una corona di mirto posta sul capo era anche augurio di buona sorte, in particolare per le persone che si accingevano ad affrontare un lungo viaggio.

Gli antichi abitanti di Creta ritenevano avesse proprietà afrodisiache, invitando a raccoglierne un rametto a tutte le persone in cerca d'amore.

Nell’antica Roma era una delle piante simboliche più importanti e secondo Tito Livio l’Urbe era nata nel punto dove era spuntato questo arbusto. Dai romani antichi era considerato una rappresentazione dell’amore per eccellenza, sia sacro che profano. Con una corona di mirto, simbolo dell’unione coniugale, chiamata "coniugalo" si soleva adornare le spose il giorno delle nozze. Si credeva che chiunque lo toccasse potesse essere folgorato da una nuova e duratura passione.

Era anche ritenuto un simbolo di gloria e supremazia, tanto che le corone di mirto sostituivano a volte quelle di alloro nell'ornare il capo dei generali vincitori.

 

Il narciso è un fiore dalla potente simbologia. Esistono, infatti, in diverse culture, miti e leggende che lo vedono protagonista e metafora di caratteristiche umane, ma anche simbolo di buoni e cattivi auspici.

Gli antichi romani pensavano che il narciso fosse un fiore che cresceva nei campi Elisi, simbolo dell'aldilà nella religione romana, e quindi avevano l'usanza di piantarli sulle tombe dei propri cari defunti.

I Druidi, i sacerdoti degli antichi Celti, associavano ai narcisi il simbolo della purezza. A un certo punto però, si diffuse la leggenda che questi fiori avessero il potere di assorbire i pensieri negativi e malvagi degli esseri umani e per questo fossero diventati velenosi (in effetti sono fiori con una certa tossicità).

Nell'antica cultura ebraica, invece, il narciso è associato alla bellezza e fertilità della donna, mentre nell'iconografia cristiana divenne simbolo della rinascita dopo la morte e associato, quindi, alla Pasqua. In alcune opere di pittori olandesi, troviamo anche il narciso come simbolo dell'amore eterno di Dio contro l'amore egoistico degli uomini.

In Cina il fiore è simbolo di fortuna e prosperità per l'anno nuovo, poiché la sua fioritura corrisponde proprio al periodo del Capodanno cinese. Nell'arte del tatuaggio cinese il narciso rappresenta l'augurio di far emergere il proprio potenziale interiore e di ottenere riconoscimenti per il proprio lavoro. Ecco perché regalare narcisi è molto gradito nel caso di un nuovo lavoro o se si sta cercando di avere più fortuna nella vita.

Nel Galles il narciso viene chiamato "giglio di quaresima", poiché lì fiorisce proprio in questo periodo. E' usanza indossarlo appuntato alla giacca il 1 marzo, giorno di San Davide e si crede che una sua fioritura precoce porti un'annata piena di prosperità.

La superstizione intorno a questo fiore ha portato anche a credere che. se in un campo ci sia solo un bocciolo a fiorire per primo, questo è segno di sfortuna. Nel Maine, negli Stati Uniti d'America, si credeva poi che se questo bocciolo fosse rivolto verso l'osservatore, gli avrebbe portato sfortuna per il resto dell'anno.

La fama di questo fiore nasce dal mito che l’accompagna che ha ispirato letterati, pittori musicisti, Nel 1914, Sigmund Freud pubblica uno saggio sul narcisismo intitolato Introduzione al narcisismo.

Esistono varie “versioni” del mito di Narciso, la più nota è quella narrata da Ovidio nelle Metamorfosi. Narciso frutto dell'amore tra una ninfa e il dio fluviale Cefiso. È un bambino bellissimo, il cui destino però, profetizzato alla madre dall'indovino Tiresia, sarà quello di morire non appena guarderà se stesso. Narciso cresce e la sua bellezza non fa che aumentare, come del resto la sua vanità e un incondizionato amore di sé che lo porta a rifiutare i sentimenti di chiunque si innamori di lui.

Di lui si innamora anche Eco, una ninfa dei boschi condannata da Era a restare muta a causa della sua precedente parlantina. Eco era colpevole, secondo Era, del fatto di distrarla con le sue eccessive chiacchiere mentre il marito Zeus si intratteneva con le sue amanti. La condanna così a restare muta e ad avere la facoltà di ripetere soltanto le ultime parole ascoltate da qualcun altro.

Eco incontra Narciso mentre questi era a caccia di cervi nel bosco. Se ne innamora all'istante e lo abbraccia. Narciso alla vista di questa ninfa che si offriva a lui fuggi inorridito tanto che la povera Eco avvilita e vergognandosi, scappò via dolente. Si nascose nel folto del bosco e cominciò a vivere in solitudine con un solo pensiero nella mente: la sua passione per Narciso e questo pensiero era ogni giorno sempre più struggente che si dimenticò anche di vivere e il suo corpo deperì rapidamente fino a scomparire e a lasciare di lei solo la voce. Narciso fuggì fino a raggiungere uno specchio d'acqua. Si sedette sulla sponda e nel gesto di raccogliere l'acqua tra le mani per berla e lavare il viso, vide per la prima volta nella sua vita la sua immagine riflessa, si innamorò perdutamente del bel ragazzo che stava fissando, senza rendersi conto che fosse lui stesso e cerca di baciarlo, ma non vi riesce. Rimase a lungo Narciso presso la fonte cercando di afferrare quel riflesso senza accorgersi che i giorni scorrevano inesorabili, dimenticandosi di mangiare e di bere sostenuto solo dal pensiero che quel malefico sortilegio che faceva si che quell'immagine gli sfuggisse, sparisse per sempre. Alla fine Narciso si lasciò morire struggendosi inutilmente; si compiva così la profezia di Tiresia. Quando le Naiadi e le Driadi vollero prendere il suo corpo per collocarlo sul rogo funebre, trovarono al suo posto un fiore cui fu dato il suo nome.

 Si narra che Narciso, quando attraversò lo Stige, il fiume dei morti, per entrare nell'Oltretomba, si affacciò sulle acque limacciose del fiume, sperando di poter ammirare ancora una volta il suo riflesso.

La versione di Partenio. che precede quella di Ovidio di almeno cinquant'anni, ha un inizio simile, ma prosegue con  Narciso che aveva molti innamorati e che lui costantemente respingeva fino a farli desistere. Solo un giovane ragazzo, Aminia, non si dava per vinto, tanto che Narciso gli donò una spada perché si uccidesse. Aminia, obbedendo al volere di Narciso, si trafisse l'addome davanti alla sua casa, avendo prima invocato gli dei per ottenere una giusta vendetta.

La vendetta si compì quando Narciso, contemplando in una fonte la sua bellezza, restò incantato dalla sua immagine riflessa, innamorandosi perdutamente di se stesso. Preso dalla disperazione e sopraffatto dal pentimento, Narciso prese la spada che aveva donato ad Aminia e si uccise trafiggendosi il petto. Dalla terra sulla quale fu versato il suo sangue, si dice che spuntò per la prima volta l'omonimo fiore.

Un’altra versione tramanda che Narciso, quando scaccia Eco, fugge verso uno specchio d'acqua e a quel punto si realizza l'antica profezia: Narciso ha visto se stesso e nell'impossibilità di realizzare l'estremo desiderio d'amore verso di sè, si trafigge con una spada e muore. Là dove cadde il suo sangue nacque un fiore, che da allora porterà il suo nome.

C’è anche una versione del finale nella quale Narciso, non essendo affatto addolorato per la triste fine di Eco, che affranta dal dolore per causa sua, si rinchiuse in una caverna e della ninfa rimasero solo le ossa e la voce, continuò la sua vita, allora gli dei intervennero dei per punire tanta ingratitudine. Così una mattina, per vedersi meglio, riflesso di un fiume, si sporse di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque, che si rinchiusero per sempre sopra di lui. Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo, che prese il nome di Narciso.

Dal mito greco ci giunge quindi la simbologia che lega il narciso alla bellezza e, soprattutto, all'amore di sé. L'amore che non permette di guardare all'esterno, che non lascia sentimenti per gli altri e che, nell'idea di conoscere, nutrire e ammirare solo il proprio io, è destinato a morire. Da qui il termine, appunto, di "narcisista". Narciso rappresenta dunque colui che sa amare solo se stesso tenendo al di fuori il resto del mondo, incapace di vedere e di aprirsi all'altro.

I narcisisti possiedono, dunque, un'idea molto alta di sé: si sentono perfetti e amano cibarsi di fantasie di fama, successo, denaro, riconoscimenti. Con estrema presunzione sentono di essere esperti in tutto e di saper fare bene tutto.

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L'oleandro, per il fatto che le sue foglie sono disposte a gruppi di tre, simboleggiava nell'antichità l'armonia dell'universo. Più tardi però è diventato simbolo funerario, forse perchè si scoprì che era una pianta velenosa.

 

Sia i popoli orientali che quelli europei hanno sempre considerato l’olivo un simbolo della pace.

Nella storia, il codice babilonese regolava il commercio dell’olio di oliva e per secoli a tale attività veniva attribuita straordinaria importanza. Gli Egizi lo consideravano un dono degli dei, gli Ebrei lo adoperavano per "ungere" il loro Re, Fenici e Greci costruivano apposite navi per il trasporto delle grandi anfore-contenitore. Pare che in Italia la cultura dell’olivo sia stata introdotta dai Greci. I Romani si specializzarono nell’immagazzinamento e distribuzione dell’olio.

I greci antichi consideravano l’olivo una pianta sacra e la usavano per fare delle corone con cui cingevano gli atleti vincitori delle olimpiadi. A quel tempo la pianta non era ancora l’olivo coltivato ma il suo progenitore selvatico l’oleastro.

Secondo il mito Per decisione di Zeus, il possesso della città di Atene e della regione dell’Attica, verrà aggiudicato al Dio che fornirà il dono più utile. Poseidone fa sbucare dalla foresta un meraviglioso cavallo, mentre Atena fa nascere dalle viscere della terra un nuovo albero: l’olivo. Zeus giudica vincitrice la dea, sostenendo che il cavallo è per la guerra mentre l’olivo è per la pace, da quel momento divenne sacra alla Vergine Atena e di conseguenza divenne anche simbolo di castità.

Per i Romani era simbolo insigne per uomini illustri.

Per gli Ebrei l'olivo era simbolo della giustizia e della sapienza.

Nella religione cristiana la pianta d'olivo ricopre molte simbologie. Nella Bibbia si racconta che calmatosi il diluvio universale, una colomba portò a Noè un ramoscello d'olivo per annunciargli che la terra ed il cielo si erano riconciliati. Da quel momento l’olivo assunse un duplice significato: diventò il simbolo della rigenerazione, perché, dopo la distruzione operata dal diluvio, la terra tornava a fiorire; diventò anche simbolo di pace perché attestava la fine del castigo e la riconciliazione di Dio con gli uomini. Ambedue i simboli sono celebrati nella festa cristiana delle Palme dove l’olivo sta a rappresentare il Cristo stesso che, attraverso il suo sacrificio, diventa strumento di riconciliazione e di pace per tutta l’umanità. In questa ottica l’olivo diventa una pianta sacra e sacro è anche l’olio che viene dal suo frutto, le olive. Infatti l'olio d'oliva è il Crisma, usato nelle liturgie cristiane dal Battesimo all'Estrema Unzione, dalla Cresima alla Consacrazione dei nuovi sacerdoti. La simbologia dell'olivo si ritrova anche nei Santi Vangeli: Gesù fu ricevuto calorosamente dalla folla che agitava foglie di palma e ramoscelli d'olivo; nell'Orto degli Ulivi egli trascorse le ultime ore prima della Passione.

Si dice olivo o ulivo? Consultando l’Accademia della Crusca si scopre che a livello letterario vengono indicate indifferentemente la versione con la o e quella con la u con leggera prevalenza della o. A livello botanico o agricolo compare solo la versione olivo e oliva (rispettando la forma latina della pianta al femminile) d’altronde parliamo della pianta Olea europea che appartiene alla famiglia delle Oleaceae il cui nome deriva dal latino olīvum.

Resta sicuramente la scrittura Ulivo per indicare il raggruppamento politico che appoggiò il Governo Prodi e Uliveto contraddistingue una marca di acque minerali.

Un ramo di quercia (simbolo di forza) ed un ramo di olivo (pace) compaiono intrecciati nel simbolo della Repubblica Italiana

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L'origano è considerata una pianta che dà conforto, sollievo e salute. Nello stemma della facoltà di medicina di Parigi sono raffigurate tre cicogne che tengono in bocca un ramoscello di origano perchè un'antica leggenda narra che quando questo uccello soffriva di stomaco per aver mangiato cibi nocivi, si curava con l'origano.

Nell'antichità le donne lo coltivavano non solo come spezia ma anche quando avevano patito una delusione amorosa per alleviare il dolore; così come si credeva che se una pianta di origano coltivata sul davanzale si seccava, voleva dire che ci sarebbero state delle delusioni d'amore.

 

L’ortica ha un significato positivo e propiziatorio in quanto considerata una pianta solare.

 

Il papavero è stato considerato il simbolo della pigrizia, oblio, di sonno dei sensi e del cuore, della misantropia e della mollezza di carattere. Il dio Morfeo veniva rappresentato con un fascio di papaveri fra le braccia. E' associato al simbolo del potere "gli alti papaveri della politica"; si narra che Tarquinio il superbo, uno dei re di Roma, per far vedere al figlio il metodo migliore per impossessarsi della città di Gabi fece buttare giù con un bastone i papaveri più alti del suo giardino che significava che si dovevano prima distruggere le più alte cariche, le persone più importanti ed autorevoli.

 

Come tutte le conifere il pino essendo sempreverde simboleggia l’immortalità. Gli aghi di questa pianta, essendo a coppie, rappresentano la fertilità e la felicità coniugale. Ci racconta il poeta Virgilio che erano di legno di pino le fiaccole per le nozze.

Nelle leggende greche, oltre ad avere il significato di eternità, appare come albero sacrificale, l’albero del supplizio iniziatico.

Anche in oriente il pino simboleggia l'immortalità. Per questo motivo in Giappone si usa il legno di pino per costruire templi e strumenti legati alle celebrazioni religiose. Anche in Giappone, come nella Roma antica, il pino è presente nei riti nuziali: era usanza fino a pochi anni fa che gli sposi bevessero del tè davanti ad un alberello di pino, simbolo dell'amore eterno, come sempreverdi sono i suoi aghi. In Cina il pino fa parte dell'insieme dei simboli che ricordano la longevità.

 

Il prezzemolo fin dall'antichità era la spezia più usata in cucina e veniva utilizzata praticamente ovunque, da qui il significato di essere invadenti.

 

Le primule rappresentano la prima giovinezza perchè è il primo fiore che sboccia alla fine dell'inverno e rappresenta anche un augurio di buona fortuna dato il fatto che annuncia la bella stagione.

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La quercia è da sempre accreditata come il re degli alberi, con rilevante valenza simbolica e religiosa, essendo quasi universalmente considerata simbolo di durata nel tempo, di vita lunga, prosperità, dignità, maestosità, e soprattutto forza.

Nell'antica Grecia era consacrata a Zeus, il padre degli dei, e secondo alcune leggende un ramo di quercia piantato vicino ad una fonte dell'Arcadia serviva ad evitare i periodi di siccità.

Gli antichi romani la consideravano sacra, inserendola in un elenco di piante "che recano buoni auspici". Come i greci anche i romani consideravano la quercia, così come la vite, sacra a Giove, facendola assurgere simbolo di virtù, forza, coraggio, dignità e perseveranza.

I Celti non celebravano alcun sacrificio se non nelle vicinanze di una quercia. Queste ed altre tradizioni spiegano i sentimenti di stupore e ammirazione che ancor oggi si provano allorché ci si imbatte in questo maestoso albero.

Un ramo di quercia (simbolo di forza) ed un ramo di ulivo (pace) compaiono intrecciati nel simbolo della Repubblica Italiana

 

Sin dai tempi più antichi La rosa è stata considerata la "regina dei fiori", diventando simbolo di eleganza, di bellezza e di fragilità. É da sempre il fiore più cantato dai poeti e nominato sia dagli antichi scrittori che dai libri sacri delle varie religioni.

Nel mondo egiziano le rose erano fiori sacri alla divinità Iside, poiché rappresentavano l’amore puro del tutto liberato dall’aspetto carnale; ma è nel mondo greco-romano che il culto della rosa ha trovato maggiore sviluppo.

Gli antichi greci la consideravano il fiore di Venere, della quale cingevano le statue con fiori di mirto e di rosa. L'isola di Rodi prende il nome da questo fiore ed era chiamata "l'isola delle rose". Innumerevoli sono le leggende greche nelle quali è coinvolto questo fiore.

Ghirlande di rose cingevano coloro che partecipavano ai banchetti in onore di Dionisio il dio del vino, proprio perché si credeva che tale fiore era in grado di tenere lontano gli effetti negativi – come ad esempio il mal di testa – che un abuso di questa bevanda poteva provocare e si riteneva che aiutasse le persone ubriache a non rivelare i segreti che sotto l’influsso della ebbrezza avrebbero potuto esternare. Fu molto probabilmente anche per questo motivo, che la rosa è poi diventata simbolo della riservatezza, una rosa era infatti appesa o raffigurata, nelle sale di consiglio per indicare riserbo e discrezione. Per questo motivo papa Adriano VI fece scolpire sui confessionali una rosa a cinque petali, simbolo del sacro vincolo della segretezza che ogni sacerdote deve mantenere nei riguardi dei penitenti che si rivolgono a lui nella confessione, e la locuzione latina “sub rosa” aveva appunto il significato di una cosa rivelata in assoluta segretezza e confidenza.

Nell'antica Roma, testimoniate fin dal I secolo d.C., prima dell’avvento del Cristianesimo, tra il mese di Maggio e quello di Luglio, si tenevano delle festività denominate Rosalie, e la Pentecoste. La Pasqua e la Pentecoste presero in un certo senso il posto di queste ricorrenze pagane, così come avvenne anche per il Natale, per la cui celebrazione si scelse il 25 Dicembre, giorno nel quale si celebrava la festività del Sole Invitto.

In occasione della festa di Pentecoste, era costume far piovere sui fedeli, durante la celebrazione della Santa Messa, petali di rose, per ricordare che il manifestarsi dello Spirito Santo sugli apostoli avvenne attraverso la discesa di lingue di fuoco, simili appunto a petali di rose.

Agli albori del cristianesimo la rosa era coltivata perché le sue spine ricordavano la passione di Cristo, ma pian piano questo fiore è andato sempre più associandosi al culto della Madonna, il cui cuore è raffigurato trafitto da spine di rosa. Inoltre la rosa bianca è sinonimo d’innocenza, di castità e di purezza e, per traslato, è uno dei modi in cui si rappresenta la Vergine Maria, Al contrario, la rosa rossa è il simbolo della carità che, se spinta fino ai limiti estremi, può anche portare al martirio. Non a caso, infatti, una leggenda d’ispirazione cristiana vuole che il suo colore rosso sia stato generato dal sangue di Cristo sulla Croce.

 Come nel mondo cattolico la rosa simboleggia il sangue di Cristo, così in quello islamico rappresenta il sangue di Maometto.

Nella Rosa di Baghdad il primo cerchio rappresenta la Legge, il secondo il Cammino, il terzo la Conoscenza e tutti e tre i cerchi insieme raffigurano la Verità ed il nome di Allah. Anche in questo caso vi sono molte analogie simboliche tra le due religioni monoteiste.

Ci sono caratteristiche positive, e altre negative. Tra le caratteristiche positive ricordiamo la maggiore produttività e la maggiore resistenza alle malattie e alle aggressioni dei parassiti. Queste sono caratteristiche generiche, non presenti tutte contemporaneamente. - See more at: http://www.coltivarelorto.it/ART/0022art0003.html#sthash.bsUZxHdE.dpuf

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Santa Rosalia, nata probabilmente a Palermo verso gli inizi del XII secolo, e morta nei pressi della città nel 1160, fu di nobile origine, di lei si hanno pochissime notizie di carattere storico. Dopo un periodo vissuto nella corte siciliana, scelse la vita eremitica ritirandosi in una grotta nei pressi di Palermo.

Tra il 1624 e il 1625, in occasione del ritrovamento dei resti della Santa presso la spelonca dove aveva trascorso gran parte della sua esistenza, cessò l’epidemia di peste che stava colpendo la città siciliana. Per questo motivo è patrona di Palermo e della Sicilia. Il suo culto è diffuso anche in altre nazioni europee, tra cui la Spagna.

Oggi si attribuiscono diversi significati alla rosa a seconda del colore che assume il fiore: rosa arancio = fascino; rosa bianca = amore puro e spirituale; rosa rossa = amore passionale; rosa color corallo = desiderio; rosa di Natale = pace, tranquillità; rosa gialla = un giallo molto acceso sarà simbolo di gelosia, giallo contornato di rosso vorrà comunicare amore tenero ed esterno, mentre un giallo pallido starà a comunicare incertezza in amore; rosa muschiata = bellezza capricciosa, rosa centifoglia= ambasciata d'amore; rosa rosa = amicizia, affetto; rosa color rosa scuro = gratitudine; rosa color rosa pallido = gioia; rosa color pesca = amore segreto; rosa rossa= passione d'amore.

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I rami di rosmarino erano impiegati nell'antichità nei riti propiziatori ed in quelli funebri (quasi come l'incenso nei giorni attuali), per le caratteristiche che le venivano attribuite di allontanare gli spiriti malvagi.

Per gli antichi egizi rappresentava l'immortalità tanto è vero che se ne metteva una manciata in mano al defunto per facilitarne il viaggio nell'oltretomba.

Contrariamente a quello che si trova nella rete, Secondo Ovidio, poeta romano autore delle Metamorfosi, la prima pianta di incenso e non di rosmarino prese origine per volontà di Apollo dal corpo della principessa persiana Leucothoe, sedotta dal dio e sepolta viva dal padre per punire la sua perdita di verginità.

Nell'antica Grecia era consacrato ad Ares, il dio della guerra: rami di rosmarino venivano posti tra le braccia dei defunti come simbolo di immortalità dell'anima.

Una leggenda di origini cristiane spiega l’origine del colore azzurro dei fiori: un arbusto di rosmarino che aveva sempre avuto i fiori bianchi, offrì riparo alla Vergine Maria durante la fuga in Egitto, nascondendo lei e Gesù nel groviglio dei suoi rami. Una volta passato il pericolo, Maria appese alla pianta il proprio manto, facendo divenire azzurri i fiori bianchi.

Nel Medioevo il rosmarino veniva usato per scacciare spiriti maligni e streghe durante i riti esoterici, e per molto tempo è stato utilizzato come amuleto per schermarsi dalle forze maligne e dalle malattie. Il suo profumo, molto persistente, era equiparato al ricordo, alla costanza, alla devozione, alla memoria; veniva perciò usato nei filtri d’amore per incantare il cuore ed attirare i ricordi amorosi.

Nell’Amleto di Shakespeare il rosmarino simboleggia la memoria; è anche un simbolo di buon auspicio infatti in Inghilterra si credeva che portare all'occhiello del rosmarino favorisse qualunque impresa.

 

Le origini della salvia risalgono alle zone del Mediterraneo e dell’Asia Minore. Ai fiori della salvia viene attribuito il significato di salvezza, ispirato evidentemente dalle sue innumerevoli proprietà medicinali e terapeutiche, note già dagli antichi i quali la ritenevano in grado di curare ogni problema di salute, anche il più grave. Da qui il nome, originato dal termine latino salvus, che significa sano.

Per i Greci e i Romani la salvia era ritenuta sacra, governata da Giove che le attribuì capacità purificanti per il fegato e rigeneranti per il sangue. Per questo nell’antichità era simbolo di vita, se ne servivano per curare i morsi dei serpenti e per rinforzare il corpo e la memoria

Nel Medioevo si riteneva avesse poteri magici come quello di dare all'uomo la longevità. Le foglie di salvia, elaborate secondo un preciso rituale, venivano utilizzate per difendersi dagli incubi notturni.

 

Il tiglio nasce dalla disperazione di una madre nell’antica Grecia. La ninfa Filira, figlia di Oceano, s’innamorò perdutamente del dio Crono. I due vennero sorpresi insieme a letto dalla moglie di Crono, Rea, che fece balzare dal letto e fuggire via Crono sotto le mentite spoglie di uno stallone al galoppo. L’amplesso lasciò in dono a Filira un figlio che lei aspettò con trepidazione come consacrazione di quell’unione. Quando il piccolo venne alla luce, ella quasi impazzì perchè il neonato era un centauro, ovvero una creatura per metà cavallo e per metà umano, che divenne poi il famoso Chirone, insegnante di Achille. Per la vergogna la ninfa chiese al padre di essere trasformata in un albero, il tiglio.

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Il timo da sempre rappresenta la diligenza, l'operosità, l'amore duraturo. Questo è legato al fatto che il timo è strettamente legato alla api, dalle quali è ricercatissimo, come già descritto dal poeta latino Virgilio nell'Eneide.

Per gli antichi greci il timo era simbolo di vitalità (da thumos, soffio vitale): essi credevano che la pianta si fosse originata dalle lacrime di Arianna, emesse a causa dell'abbandono dell'amato Teseo. Il pianto 'profumato' attrasse però le attenzioni di Dioniso che la prese subito in sposa.

Il timo era usato nei riti sacrificali per il suo fumo dalle proprietà ritenute disinfettanti. Le giovani ragazze ne ponevano un ramoscello sotto al cuscino per farsi rivelare in sogno l'identità del futuro sposo.

 

il vero simbolo dell'amore perfetto, quello onesto, eterno e disinteressato è il tulipano, il significato varia a seconda del colore: ROSSO - dichiarazione d'amore; ROSA – in tutte le diverse tonalità, esprime amore affettuoso; GIALLO - una volta rappresentavano l’amore infelice, oggi ha cambiato significato, dal momento che ricorda il sole: un dono perfetto per un amore solare, spensierato, e caldo, reso tale da una persona disinibita e con gioia di vivere. VIOLETTO: il tulipano della modestia. forse la dichiarazione di chi non ha la presunzione di promettere qualcosa di eccessivo? meno incisivo e passionale del tulipano rosso ma comunque nobile e dolce. Tulipano screziato: caratterizzato da sfumature di brillanti colori che rispecchiano la lucentezza degli occhi di chi riceve questo dono, dolce e aggraziato.

Secondo la più antica leggenda persiana tra tutte quelle che vedono il tulipano come protagonista, questo nacque dalle gocce di sangue di un giovane ragazzo suicidatosi in seguito alla falsa notizia della morte dell’amata. Anche nella celebre raccolta di fiabe "Le mille e una notte" il tulipano viene associato all'amore: secondo i racconti infatti il sultano lasciava cadere un tulipano rosso ai piedi di una delle donne dell'harem per indicare loro quale fosse la prescelta.

Il tulipano è uno dei pochi fiori consigliati anche per un regalo ad un uomo, grazie ai suoi colori e alla corolla, entrambi molto decisi, che lo rendono più adatto ad un pensiero del genere rispetto a molti altri fiori che, seppur meno romantici, hanno un aspetto più aggraziato e femminile.

 

Plinio il vecchio scriveva che il vischio era chiamato dai druidi guarisci tutto per le sue proprietà medicinali a questo si deve il suo significato che indica obiettivi raggiunti, il superare ogni dolore e calamità, vittoria. Il vischio ha lo scopo di assicurare il bel tempo, il raccolto abbondante e la protezione contro i malefici, per questo si usa regalarlo ad inizio anno.

 

La viola è stata uno dei fiori più apprezzati da tutti i popoli e in tutti i tempi, sia per l'aspetto estetico e per la delicata profumazione.

Gli antichi romani e le popolazioni arabe erano solite aggiungere alle bevande fiori di viola oppure estratti della stessa, al fine di rendere più delicata e gradevole la consumazione.

Molti poeti hanno celebrato e inserito nelle proprie opere la viola, come uno dei fiori più belli e delicati; altrettanto ricorrente è la rappresentazione del fiore in dipinti e decorazioni. Famoso è infine l'utilizzo del fiore per ottenere profumi ed essenze.

E' da sempre stata considerata come il simbolo del pudore. Simboleggiava anche la modestia, come suggerisce l'inclinazione della sua corolla sul davanti.

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Fin dalla comparsa delle prime civiltà la vite ha ricevuto dall’uomo la più grande venerazione, tanto che le fu dedicato uno specifico protettore divino, Dionisio per i Greci e Bacco per i Romani. Concepito da Zeus unitosi segretamente alla mortale Semele, principessa di Tebe.

La Bibbia stessa testimonia come fu Noè a salvare la vite ed a impiantarla dopo il diluvio universale.

La sua coltivazione fu importata nella Magna Grecia dai primi colonizzatori e diffusa in tutta l'Italia probabilmente ad opera degli Etruschi, come testimoniano le raffigurazioni di viti nelle loro tombe, mentre furono poi i Romani a trasferire la coltura della vite a tutte le popolazioni conquistate e fin dove il clima lo permetteva.

Era considerata da queste popolazioni simbolo di forza, di capacità di adattamento e di trasformazione, rappresentando in seguito pienamente anche lo spirito del Cristianesimo. In una celebre parabola Gesù stesso si paragona ad una vite, i cui tralci rappresentano tutti i suoi discepoli (quindi la Chiesa), che possono vivere solo attaccati alla pianta e non staccati da essa.

Il vino è considerato sacro, non solo nella fede Cristiana (dove rappresenta il sangue di Cristo versato per la redenzione dell'uomo), ma anche in molte altre religioni come l'Induismo (considerato sacro da Shiva) e l'Islam (dove è proibito il suo consumo sulla terra ma viene concesso nel cielo).

La zucca per il suo colore giallo simile al sole e alla sua forma a contenitore (per molto tempo è stata utilizzata come recipiente) è legata all’acqua ed è diventata simbolo di fertilità, nascita e rinnovamento. Da sempre ha stimolato la fantasia dell’uomo ed è protagonista di molte storie che vanno dalla mitologia alla favola.

In America centrale è celebre la storia di un uomo chiamato Iaia, il cui unico figlio morì improvvisamente. Il padre decise di seppellire il figlio in una grande zucca, come in una sorta di bara e lo pose ai piedi di un albero; dopo qualche anno tornò sul posto e, aperta la zucca, non trovò più i suoi resti ma solo tanta acqua dove nuotavano pesci d’ogni tipo. Sconvolto da tale visione ricoprì la zucca e ritornò al villaggio dove la notizia, passando da l’uno all’altro, arrivò alle orecchie di quattro uomini che decisero di rubarla, pensando che dentro vi fosse nascosto un tesoro. Sorpresi da Iaia medesimo, si spaventarono e nella fuga fecero cadere la zucca che si spaccò in tanti pezzi. La leggenda narra che da essa uscirono torrenti d’acqua che inondarono copiosamente la terra, formando gli oceani e i mari.

La zucca è protagonista anche nel diluvio universale nella versione Indocinese: solo un fratello e una sorella si salvarono dal diluvio, rinchiudendosi in una zucca. Dai due nacque la nuova umanità, infatti la donna partorì una zucca e i suoi semi, sparsi per la pianura e la montagna, diedero origine alle varie razze umane.

Nei poemi epici Ramayana e Mahbharata della religione induista è narrata la nascita dei figli di Sagara, re di Ayodhya: il re aveva due mogli, una partorì un figlio e l’altra partorì una zucca. Dal cielo una voce ammonì Sagara a non gettare via la zucca e a porre ogni seme della zucca in una giara piena di burro: da ognuna di quelle giare (circa sessantamila) uscì un ragazzo avverando la profezia che voleva per il re la nascita di una numerosissima stirpe.

Leonardo Da Vinci scrisse: Il salice, la gazza e i semi della zucca. Un salice, oppresso dai tralci delle viti e di altre piante che si aggrappavano ai suoi rami, tirandoli giù e impedendo loro di potere gioire della vista del cielo e del sole, cerca una pianta che cresca senza doversi aggrappare ai suoi rami ma anzi che li possa sostenere. Decide per la zucca; chiede ad una gazza di procurargli semi di zucca che poi seminerà ai suoi piedi (ossia radici). In breve tempo la pianta di zucca occupa tutti i rami del salice, con le sue grandi foglie gli toglie la luce e i suoi frutti pesanti prostrano a terra i lunghi rami del salice; così invocherà l’aiuto del vento affinché con la sua forza scuota le zucche e le faccia cadere, ma il salice, ormai vecchio e appesantito, non riuscirà a contrastare il vento che, dividerà il tronco del salice in due parti. Il povero salice così capì che era nato per non provare mai bene.

Anche Jean de La Fontaine (1621-1695), usa la zucca come protagonista di uno dei suoi apologhi morali, La ghianda e la zucca. Un giorno un contadino osservava un’imponente quercia e una pianta di zucca. “Mi pare - diceva - che il Signore Iddio abbia commesso un grosso sbaglio. Il frutto della zucca, così grosso e pesante, dovrebbe essere della quercia, e la piccola ghianda sarebbe assai appropriata alla pianta della zucca”. Poi si sdraiò all’ombra della quercia e continuava le sue riflessioni sulle cose create. Ad un tratto si staccò una ghianda dall’albero e andò a battere proprio sul naso del contadino, il quale si alzò irritato ed esclamò: “Iddio Creatore non ha sbagliato, non sbaglia mai. Se fosse caduta una zucca, che cosa sarebbe accaduto al mio povero naso?”.

Ma la zucca più famosa è quella di Charles Perrault: "Va in giardino e portami una zucca." Cenerentola subito andò a cogliere la più bella che le riuscì di trovare, e la portò alla comare, senza capire come mai quella zucca l'avrebbe fatta andare al ballo. La comare la vuotò e quando non fu rimasta che la sola scorza, la percosse con la sua bacchetta e la zucca fu subito mutata in una bella carrozza tutta dorata.

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