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L’unica strada da seguire per la salute è una dieta varia senza eccessi.

bollitura

bagnomaria

pressione stufatura

 forno

arrosto

 miocroonde

frittura

cottura della carne 

cottura dei vegetali

LA COTTURA

Come regola puramente orientativa, un aumento di temperatura di 10°C può fare raddoppiare ma anche triplicare la velocità di una reazione chimica. Un applicazione di questo principio si ha nella conservazione degli alimenti nella quale si ricorre alla refrigerazione che, mediante un abbassamento di temperatura, determina una diminuzione della velocità di decomposizione dei cibi.

 

Il controllo del fuoco avvenne circa 1.400.000 anni fa in Africa, Il fuoco portò al miglioramento della nutrizione mediante le proteine cotte; le proteine possiamo immaginarle come dei microscopici gomitoli di fili arrotolati su se stessi a temperatura ambiente, ad esempio quando la carne è cruda, se aumentiamo la temperatura, a partire dai 40 gradi centigradi, le proteine iniziano a srotolarsi, allungandosi e distendendosi, cioè si denaturano, perchè prendono una forma diversa da quella che hanno naturalmente, la carne cuoce. Cuocere, infatti, significa cambiare lo stato di un alimento e di solito si fa proprio con l’uso di calore. Inoltre la cottura uccide i parassiti e i batteri che possono avvelenare gli alimenti.

 La cottura espone un alimento al calore o a radiazioni (es: microonde) al fine di scaldarlo e di mutarne le proprietà chimico-fisiche ed organolettiche. I principali scopi della cottura sono:

  • distruggere i microrganismi patogeni ed eliminare potenziali sostanze tossiche (ad esempio la solanina delle patate);

  • migliorare le proprietà organolettiche degli alimenti attraverso la modifica di aroma, sapore e aspetto;

  • bloccare l'attività di alcuni enzimi che operano trasformazioni indesiderate soprattutto negli alimenti di origine vegetale;

  • aumentare la digeribilità dei nutrienti presenti attraverso alcune trasformazioni chimiche;

  • aumentare la biodisponibilità di alcuni nutrienti attraverso l'inattivazione di sostanze presenti negli alimenti che impediscono la loro utilizzazione (ad esempio l'avidina nell'albume d'uovo).

La cottura sterilizza i cibi. Nulla quindi da temere per quanto riguarda i batteri cioè per la possibilità di contrarre infezioni: con l’eccezione di quei rari batteri, capaci di dare luogo a “spore”, le quali sono generalmente resistenti alla cottura.

 

Le spezie inibiscono almeno del 75% la crescita delle specie batteriche, e addirittura l’aglio, la cipolla e l’origano inibiscono o uccidono ogni batterio su cui sono state testate, alcune spezie o aromi, come il prezzemolo o il coriandolo, si aggiungono solo alla fine della preparazione perché alcune sostanze antimicrobiche vengono distrutte dal calore, e quindi se aggiunte all’inizio della ricetta perderebbero il loro valore protettivo; altre si possono aggiungere anche dall’inizio, come l’aglio o il rosmarino.

Tutto un diverso capitolo, per così dire, è quello relativo agli eventuali residui di sostanze estranee (ad esempio utilizzate come farmaci) presenti in tracce: nelle carni degli animali in primo luogo, ma anche in altri cibi (verdure, farine, ecc.). La conservazione dei cibi prevede infatti l’uso di sostanze che la favoriscono e lo stesso allevamento degli animali si avvantaggia dell’uso di chemioterapici e antibiotici, per evitare infezioni che risulterebbero distruttive in un allevamento intensivo.

I residui nelle carni degli animali di allevamento e dei pesticidi nella frutta e nella verdura, che fine fanno con la cottura? In sostanza, la cottura dei cibi non mette completamente al riparo da eventuali sostanze estranee presenti nei cibi: anche se — molto spesso — la cottura ne dovrebbe diminuire la quantità.

La fiamma deve tenere conto dell’operazione che si sta eseguendo, e delle dimensioni del recipiente. Usare sconsideratamente il fuoco oltre che fare una cattiva cucina, attentare alla propria salute.

Quando mettiamo una pentola piena sul fuoco, il calore riscalda gli strati a contatto con il fondo: immediatamente gli strati più caldi migrano verso l’alto (hanno minore densità) e questo moto determina il riscaldamento regolare della massa.

La difficoltà che si incontra per riscaldare qualcosa: mettendo qualunque recipiente sul fuoco che non contenga semplice acqua è necessario avere ben presente che il liquido possa essere tale e degno di questo nome solamente a caldo, mentre a freddo possa assomigliare per proprietà a un solido. Se qualcosa impedisce o rallenta i moti determinati dalla differenza di temperatura (moti “convettivi”) gli strati a contatto con la fonte di calore si surriscaldano e “bruciano”.

In definitiva, all’inizio bisogna scaldare dolcemente con una piccola fiamma e agitare fino a che il liquido non sia diventato veramente fluido.

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La bollitura è la cottura in acqua o in liquido (ad esempio brodo) portato al punto di ebollizione ( intorno ai 100°C). Il calore si trasferisce agli alimenti per convezione, così come avviene nella cottura a vapore e sotto pressione.

[La convezione è un tipo di trasporto di energia, assente nei solidi e trascurabile per i fluidi molto viscosi, caratterizzato da moti di circolazione interni al fluido. La trasmissione del calore oltre che per convezione, può avvenire per conduzione e irraggiamento.]

Questa tipologia di cottura è utilizzata per alimenti di origine animale (pesce e carne) e di origine vegetale (pasta, verdure).

 Da un punto di vista dietetico è un ottimo metodo, poichè non prevede l'aggiunta di grassi di condimento; con la bollitura però gli alimenti perdono parte del loro valore nutrizionale, in particolar modo le sostanze idrofile in essi contenute tendono a diffondersi nell’acqua di cottura; le vitamine sono particolarmente soggette a questo fenomeno.

E' possibile ovviare a tali perdite immergendo le verdure in poca acqua e facendole cuocere per tempi relativamente brevi. Anche il contenuto di sali minerali (es: potassio) risente della bollitura degli alimenti; tuttavia se da una parte con la bollitura si va incontro ad una perdita di alcuni sali minerali, altri quali ad esempio ferro e zinco subiscono modificazioni chimiche che li rendono maggiormente biodisponibili e quindi più assimilabili dal nostro organismo.

Nelle carni con la bollitura si perde parte dei grassi, che si disperdono nel mezzo acquoso e possono essere eliminati; le proteine vengono denaturate, quindi le carni diventano più digeribili e tenere. Bolliture prolungate possono però distruggere parte degli amminoacidi essenziali e ridurre il valore biologico delle proteine. Se la cottura viene effettuata collocando la carne in acqua fredda la perdita di proteine è del 5-10%, quella dei minerali si aggira intorno al 50 al 70%, si verifica anche una perdita delle vitamine del gruppo B. Le perdite sono ridotte immergendo le carni in acqua calda: questo metodo permette la formazione di una pellicola superficiale dovuta alla veloce denaturazione proteica.

La bollitura dei cereali favorisce la rottura di parte dei legami dell’amido, migliorandone l’assorbimento; tuttavia con questo metodo si ha una perdita fino al 60% di vitamine e di alcuni minerali come il potassio.

La pasta deve essere cotta in acqua bollente per provocare uno shock termico che impedisca la fuoriuscita dell'amido.

 

Una forma particolare di bollitura è il brodo.  Quello di gallina è facilmente distinguibile da un brodo di tacchino o da un brodo con carne di manzo. Perché? Gli aromi che caratterizzano i diversi brodi sono molecole organiche complesse, poco solubili in acqua e molto solubili nei grassi degli animali. La carne contiene più di cento composti sapidi (identificati nella carne) o aromatici (nel grasso). Il sapore più gradevole e caratteristico di una qualsiasi carne è contenuto nel grasso, dal quale si estrae parzialmente durante la bollitura. I gourmet hanno denominato osmazoma il principio odoroso dei brodi.

La parte grassa della carne rilascia lentamente, e a piccolissime dosi, le molecole aromatiche nell’acqua del brodo. Solo una piccola parte delle molecole odorose passa dai grassi della carne nel brodo e gli conferisce il caratteristico aroma. Per avere un buon brodo, s’inizia con l’acqua fredda e si riscalda lentamente, affinché l’albumina non si coaguli all’interno della carne, prima di essere estratta; l’ebollizione deve essere lieve e appena percepibile. I muscoli sono composti da due proteine essenziali alla contrazione, l’actina e la miosina, racchiuse nelle fibre di collagene. Durante la cottura il collagene passa progressivamente nel brodo e si trasforma in gelatina.

 

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La cottura a bagnomaria prevede che l'alimento da cuocere venga posto in un recipiente immerso in un altro contenitore colmo di acqua. E’ un metodo ideale per la preparazione di emulsioni e salse con un elevato contenuto in grassi, poichè le temperature massime raggiunte non denaturano i lipidi evitando la formazione di odori e sapori poco gradevoli, evita la formazione dei grumi dovuti alla coagulazione delle proteine presenti nelle uova.

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Con la cottura a pressione si raggiungono temperature al di sopra dei 100°C. permettono una cottura più breve e al riparo da luce e ossigeno, che possono compromettere le caratteristiche nutrizionali delle preparazioni alimentari.

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Il termine stufatura deriva da stufa ed è uno dei metodi classici di cottura in umido: si aggiungono liquidi all’alimento, che viene cotto con temperature moderate, inferiori ai 100°C. Questa cottura è utilizzata per la preparazione di piatti a base di carne ed ortaggi. permette grazie al trattamento termico prolungato di migliorare la morbidezza e la digeribilità della carne.

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La cottura a forno è una cottura a secco nella quale il calore si trasmette attraverso aria calda. Questa cottura permette la perdita di acqua superficiale contenuta negli alimenti e la conseguente formazione di una crosta esterna che trattiene all’interno degli alimenti i nutrienti idrosolubili (vitamine e sali minerali). Sotto questo punto di vista è quindi migliore delle cotture in umido. (Se si prolungano i tempi di cottura si può arrivare ala carbonizzazione degli alimenti con la conseguente formazione di composti tossici)

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Arrosto: il calore passa dalla superficie all’interno degli alimenti, determinando l’evaporazione di acqua.

 Il processo è suddiviso in 3 fasi:

Fase1: temperatura che non supera i 100°C

Fase 2: formazione di una crosta che limita la perdita dei componenti interni

Fase3: Aumento della temperatura della superficie del prodotto fino a 300°C; internamente la temperatura rimane intorno ai 70°C.

Terminata la cottura gli alimenti di origine animale devono essere conservate per 15 minuti a una temperatura di circa 50°C per permettere alle fibre muscolari di distendersi.

Questo metodo è particolarmente indicato per la cottura di carne e pesce.

I lipidi vanno incontro a decomposizione termica: si riduce quindi l’apporto di grassi degli alimenti. Il contenuto di proteine nelle carni arrostite rimane invariato e le perdite di aminoacidi sono limitate.

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La cottura a miocroonde è una tipologia di cottura a secco che sottopone i cibi ad un campo elettromagnetico che genera calore che si propaga dall’interno all’esterno degli alimenti, a causa delle vibrazioni molecolari a cui è sottoposta l’acqua contenuta negli alimenti. Le frequenze delle onde elettromagnetiche che si sviluppano sono comprese tra i 915-2450 MHz. Con questa cottura non si possono utilizzare utensili in alluminio perché riflettono le onde elettromagnetiche. E’ ancora in fase di studio.

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La frittura è la cottura di un alimento immerso in un corpo grasso portato ad alte temperature ed è utilizzata sia per i prodotti di origine vegetale (verdure) che per quelli di origine animale (carni, pesce).

E’un metodo di cottura molto antico. Già nel 2500 a.C., in Egitto, ci sono tracce di frittura di alcune pietanze e successivamente anche nell’Antica Roma sembra che questa procedura culinaria fosse usata.

Questa cottura porta ad un incremento del potere calorico, ma permette una minore perdita di nutrienti. Tuttavia si assiste alla perdita delle vitamine termolabili e la formazione di acroleina, una sostanza volatile nociva per il nostro organismo.

È il tipo di cottura nella quale il grasso raggiunge temperature più elevate.

Nel caso della frittura di alimenti a basso contenuto di grassi, ad esempio le patate, gli oli e i grassi penetrano nell'alimento e vi rimangono in quantità variabili dal 10 al 40%, per cui l'alimento fritto assume una composizione in acidi grassi simile a quella dell'olio utilizzato per la frittura.

La frittura tradizionale si effettua a temperature fra i 160°C e i 180°C.

Il “soffritto” di cipolla è il classico esempio del fatto che mano a mano che l’acqua evapora si possono raggiungere temperature più elevate nei punti dove l’acqua è già evaporata: all’inizio la cipolla tagliata in minuscole fette cede l’acqua che contiene, poi l’acqua evapora e la temperatura si innalza fino a che la cipolla “imbiondisce”.

Trattando la frittura, ma vale anche per tutti i tipi di cottura, bisogna approfondire il concetto di punto di fumo che è la temperatura a cui un grasso alimentare comincia a decomporsi, chimicamente è la temperatura  alla quale l’olio da sostanza liquida diventa gassosa, iniziando così ad evaporare rilasciare sostanze volatili che divengono visibili sotto forma di un fumo che può contenere idrocarburi policiclici aromatici, ammine eterocicliche, formaldeide, acetaldeide, acrilamide, ma non solo: i trigliceridi si separano in acidi grassi e glicerolo, quest'ultimo si trasforma poi in acroleina, una sostanza irritante e tossica per il fegato. Quindi l’olio per frittura non deve assolutamente raggiungere il punto di fumo, che lo renderebbe pericoloso, per arrivare addirittura ad essere cancerogeno.

Bisogna cuocere i cibi a temperatura controllata e scegliere il giusto grasso di cottura. La cottura più a rischio è ovviamente la frittura, nella quale il grasso è portato a temperature prossime al punto di fumo.

I grassi di cottura ricchi di grassi polinsaturi, come l’olio di mais o quello di soia, si degradano più rapidamente di quelli ricchi di grassi monoinsaturi come gli oli di oliva, di nocciole o di arachidi, in prevalenza composti da acido oleico. In più l’olio extravergine, non essendo stato purificato, contiene delle molecole che agiscono da antiossidanti ritardandone la degradazione. Ancora più stabili sono gli oli contenenti molti grassi saturi, come l’olio di palma o lo strutto. Il loro uso tuttavia andrebbe limitato perché un loro consumo eccessivo può avere conseguenze negative sulla salute.

Generalmente più un olio è raffinato, quindi meno sostanze diverse dai trigliceridi contiene, e più è alto il suo punto di fumo che cambia anche in base alla qualità della materia prima di partenza.

 

la temperatura di frittura deve essere compresa tra i 165° e 185° gradi

 

Punto di fumo grassi/oli

acidi grassi presenti

 

Non

raffinati

raffinati

Altre fonti

Monoin

saturi

Polin

saturi

saturi

 

 

         

Arachide

160

230 180-230 227

50-55

30

20-15

Avocado

 

270        

Canapa

 

165        

Canola

107 110

200-235

177 204

     
Cartamo 107 265 160      
Cocco   175 177 204      
Colza   225  

60

30

10

Cotone   215        
Girasole 110 210-245 130- 170 227

24-34

65-60

11-7,5

Lino 110    

 

 

 

Mais 160 178 230 160 – 140

27

60-47

13-31

Mandorla   220 216      
Margarina   150 150      
Nocciola   220 221      
Noce 160 200        
Oliva   190-240 175

75

10

15

Oliva extravergine   160-210 210 216      
Palma   240 240 232      

Ricino

 

200

 

     

Riso

 

230-255

 

     

Sesamo

175

215-230

 

     
Soia 160 230-240 130-150 177

22

63

15

Strutto 180-210   più di 260      
Vinacciolo   245 216

16-18

72

12-10

             
Lardo     182 190      

Burro

177

  110 150      

Burro non chiarificato

110-130

         

Burro chiarificato *

180

  252      
Il miglior olio per friggere sarebbe l’olio extravergine di oliva e quello di oliva, ricco di acidi grassi monoinsaturi, ma anche l'olio di arachidi presenta una buona resistenza, con costi decisamente inferiori e un sapore più delicato
L’olio di palma e l’olio di soia pur avendo un punto di fumo molto alto sono ricchi di acidi grassi polinsaturi, che vengono assorbiti molto dai cibi.
Per avere un risultato più croccante friggere alimenti molto freddi.

* BURRO CHIARIFICATO E’ un burro fuso e privato della parte acquosa e della caseina

Tra gli oli di semi passano attraverso processi come la macinatura e la spremitura da cui si ricava un primo olio grezzo, solo quello di arachidi, estratto per spremitura, può non richiedere un ulteriore raffinazione. La massa solida ottenuta viene sottoposta a estrazione con solventi, il più usato è l’esano. Dopo l’estrazione con esano, si ottengono due frazioni: una miscela di olio e esano, e un residuo solido, detto farina di estrazione, usata per preparare mangimi. Dalla miscela olio-esano si recupera per distillazione l’esano, che viene utilizzato per successive estrazioni, e si ha come residuo l’olio di semi grezzo.

Quest’olio viene successivamente sottoposto a raffinazione, per togliere le mucillagini, per neutralizzare l’acidità, per deodorarlo, per decolorarlo, e per togliere le ultime tracce di esano (che per legge deve essere completamente eliminato).

I valori possono variare in relazione al grado di raffinazione, alla varietà dei semi, all'andamento stagionale e alle tecniche colturali. Il punto di fumo diminuisce, anche notevolmente, se l'olio non è conservato in maniera opportuna al ripararlo dalla luce, dal calore e da reazioni ossidative.

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COTTURA DELLA CARNE

La cottura della carne ha il pregio di distruggere la carica batterica che è spesso presente sulla carne. La cottura, a seconda della temperatura che viene raggiunta, può provocare la formazione di sostanze fortemente cancerogene, chiamate “ammine eterocicliche”. La “doratura” delle carni, che si ha con qualsiasi trattamento a temperatura alta, provoca la formazione di queste sostanze.

Di cosa è “fatta” la carne? Il tessuto muscolare è composto fondamentalmente da 3 componenti:

75% acqua

20% proteine di varia natura tra cui il tessuto connettivo

5% grassi

A incidere sul grado di tenerezza della carne è prima di tutto il tessuto connettivo. Negli animali molto giovani il collagene è relativamente solubile in acqua, pertanto la carne è molto tenera. Con l’avanzare dell’età la carne si indurisce.

La cottura della carne richiede un compromesso tra due opposte esigenze: mantenere morbida la carne, senza farle perdere i succhi, raggiungendo una temperatura al cuore inferiore ai 65 °C, e al tempo stesso sciogliere abbastanza velocemente il tessuto connettivo che tiene insieme le fibre, usando temperature superiori ai 75 °C.

La cottura ideale della carne si ottiene con la rosolatura a 150°C poi deve riposare al forno, riscaldato a 65°C, per circa mezz’ora. Il riposo a bassa temperatura consente di ottenere un colore rosa interno uniforme e insieme blocca la fuoriuscita di sangue. Il collagene si trasforma in gelatina, ammorbidendo la carne, a temperature interne comprese tra i 50°C e i 55°C. per questo la temperatura di cottura di una carne influisce sulla sua tenerezza finale. Più alta è la temperatura, più la contrazione delle fibre di collagene sarà rapida, accompagnata dalla perdita di acqua. Il risultato è una carne molto compatta, asciutta e dura. Per avere carne tenera bisogna partire, da una carne ben frollata, tenuta nel frigo a 4°C per almeno 15 giorni.

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COTTURA DEI VEGETALI

È meglio mangiare vegetali crudi o cotti? la vitamina C è rapidamente distrutta dalla cottura. Anche le sostanze antiossidanti, presenti nelle verdure sono in parte distrutte dalla cottura. Di contro la cottura rende più accettabile al nostro digerente molti vegetali “duri”, ricchi di cellulosa, aventi una consistenza quasi legnosa.

Una distinzione può essere fatta dividendo i vegetali in tre classi:

tuberi, radici o bulbi (patate, cipolle);

verdure a foglia;

frutti utilizzati come verdura. A quest’ultima classe appartengono zucchine, melanzane, peperoni, pomodori.

Da considerare a parte i legumi.

nel caso di verdure a foglia cotte abbiamo un apporto di fibra, che nel caso specifico si tratta in buona parte di cellulosa. Che cosa è questa fibra? L’intestino, per funzionare correttamente ha bisogno di ”lavorare” su grandi volumi.

Da un punto di vista chimico le fibre sono polisaccaridi, strutturalmente simili all’amido, nel senso che sono formati da una “catena” di monosaccaridi. la cellulosa è formata da una “catena” di molecole di glucosio (essendo in questo uguale all’amido), ma il diverso tipo di legame tra le unità la rende indigeribile da molti animali

Le strutture vegetali fibrose (dalle foglie al tegumento dei piselli, fino al legno) sono costituite da vari tipi di polisaccaridi. La cottura in acqua porta in soluzione una parte dei polisaccaridi e demolisce la struttura, alla quale sono affidate le proprietà meccaniche: ecco che il materiale diviene più morbido, masticabile, e adatto come cibo, anche se esso è in gran parte non digeribile, ovvero attraversa l’apparato intestinale senza subire modifiche, ma è preziosa per la funzionalità dell’intestino.

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